a***@yahoo.com
2019-09-10 22:16:51 UTC
Insomma bisogna "cacciare le palle" e smontare la fuga della Fantasia BWV 542?
Nessun problema. Premetto che se ho introdotto la Piccola Fuga, la Fuga-giga e "qualcos'altro" come infimi esempi di contrappunto questo non era affatto intenzionato a discutere di Bach facendo riferimento ad essi. Era invece per mostrare come la passione rockettara di massa scambia quelle cose per sublimi polifonie, al punto che, come pure mi sono premurato di dimostrare, c'è tutto un fiorire, in rete, di ridicole neo-fughe basate sui succitati pezzi. Del resto, la fuga "rock" citata da Roberto proprio da essi prende spunto. Quindi non capisco cosa di intellettualmente disonesto ci sia nel mio discorso. E, ribadisco, non ho alcun problema a dire due parole sulla fuga bachiana in questione.
Quest'ultima ha un problema enorme quanto un grattacielo. In pratica, è vero che il soggetto è di tre misure ma, a ben vedere, si compone di due soli incisi (quattro semicrome il primo e un salto di ottava in crome il secondo) nell'ambito di mezza misura, che si ripetono. Anche volendo considerare l'inciso sul terzo e quarto tempo di misura 2 a sé stante (non lo è, in realtà) possiamo costruire su di essi un canone riconoscibile con un ritardo massimo di mezza misura per la conseguente. Questo però corrisponderebbe a mettere in stretto il soggetto troppo presto, essendo quest'ultimo di tre misure (ben sei volte mezza misura). Di conseguenza, ogni volta che JSB sfora la misura per la conseguente del canone (cioè praticamente sempre) quest'ultimo non è riconoscibile. Da ciò viene fuori un'estenuante e meccanica ripetizione dei due incisi come le lancette e di un orologio a cucù (il cucù equivale alla ripercussione del soggetto sciolto). Andare avanti per sei buoni minuti con questo giochino meccanico e uniforme è, per quel che mi riguarda, insostenibile.
Tutto questo è chiaro? No? Lo chiarisce Alessandro Scarlatti.
Come si può osservare in questa fuga, mostruosamente scritta a sei (SEI!) voci (flauto, oboe e quartetto d'archi), il soggetto è più breve ma i due incisi caratterizzanti (testa e coda) sono in proporzione più lunghi dei rispettivi di JSB e non si ripetono. Ad essi, nella formazione dei canoni, Scarlatti aggiunge un terzo inciso preso da un raccordo. In questo modo tutti i canoni (che compaiono già dall'esposizione, badate bene) sono perfettamente riconoscibili e assai vari, avendo testa contro testa, testa contro coda, testa contro terzo inciso, coda contro terzo inciso. E le distanze tra antecedente e conseguente possono anche essere variate. Notare che JSB con una sola monotona figura va avanti per sei minuti. Scarlatti con tutte queste combinazioni si ferma dopo un minuto e quaranta secondi. Come a dire: concentro tutto al massimo possibile e chiudo...
Nessun problema. Premetto che se ho introdotto la Piccola Fuga, la Fuga-giga e "qualcos'altro" come infimi esempi di contrappunto questo non era affatto intenzionato a discutere di Bach facendo riferimento ad essi. Era invece per mostrare come la passione rockettara di massa scambia quelle cose per sublimi polifonie, al punto che, come pure mi sono premurato di dimostrare, c'è tutto un fiorire, in rete, di ridicole neo-fughe basate sui succitati pezzi. Del resto, la fuga "rock" citata da Roberto proprio da essi prende spunto. Quindi non capisco cosa di intellettualmente disonesto ci sia nel mio discorso. E, ribadisco, non ho alcun problema a dire due parole sulla fuga bachiana in questione.
Quest'ultima ha un problema enorme quanto un grattacielo. In pratica, è vero che il soggetto è di tre misure ma, a ben vedere, si compone di due soli incisi (quattro semicrome il primo e un salto di ottava in crome il secondo) nell'ambito di mezza misura, che si ripetono. Anche volendo considerare l'inciso sul terzo e quarto tempo di misura 2 a sé stante (non lo è, in realtà) possiamo costruire su di essi un canone riconoscibile con un ritardo massimo di mezza misura per la conseguente. Questo però corrisponderebbe a mettere in stretto il soggetto troppo presto, essendo quest'ultimo di tre misure (ben sei volte mezza misura). Di conseguenza, ogni volta che JSB sfora la misura per la conseguente del canone (cioè praticamente sempre) quest'ultimo non è riconoscibile. Da ciò viene fuori un'estenuante e meccanica ripetizione dei due incisi come le lancette e di un orologio a cucù (il cucù equivale alla ripercussione del soggetto sciolto). Andare avanti per sei buoni minuti con questo giochino meccanico e uniforme è, per quel che mi riguarda, insostenibile.
Tutto questo è chiaro? No? Lo chiarisce Alessandro Scarlatti.
Come si può osservare in questa fuga, mostruosamente scritta a sei (SEI!) voci (flauto, oboe e quartetto d'archi), il soggetto è più breve ma i due incisi caratterizzanti (testa e coda) sono in proporzione più lunghi dei rispettivi di JSB e non si ripetono. Ad essi, nella formazione dei canoni, Scarlatti aggiunge un terzo inciso preso da un raccordo. In questo modo tutti i canoni (che compaiono già dall'esposizione, badate bene) sono perfettamente riconoscibili e assai vari, avendo testa contro testa, testa contro coda, testa contro terzo inciso, coda contro terzo inciso. E le distanze tra antecedente e conseguente possono anche essere variate. Notare che JSB con una sola monotona figura va avanti per sei minuti. Scarlatti con tutte queste combinazioni si ferma dopo un minuto e quaranta secondi. Come a dire: concentro tutto al massimo possibile e chiudo...