L'Esattore
2009-03-16 13:37:10 UTC
Vedo raramente recensioni o pareri di film in uscita o già usciti nelle
sale, ma mi piace fare uno strappo alla regola per questo bellissimo film.
Si tratta di un film lineare, semplice ed essenziale. Non nasce con
l'intenzione di volerne fare un capolavoro, né di voler strafare in
qualsiasi aspetto. L'intenzione è quella di voler raccontare una storia
semplice, dei nostri tempi, ma radicata nel passato. Si racconta di
stereotipi, di razzismo, di violenza, ma anche di valori. E ognuno di
questi seri argomenti viene sviscerato con una vena ironica di sottofondo
davvero notevole. Se il film è bellissimo e completamente riuscito, lo si
deve unicamente a Clint Eastwood. Dopo aver già dimostrato ampiamente nei
suoi precedenti film di essere un gran regista, qui ci ricorda ancora una
volta, se ce ne fosse bisogno, che è un grandissimo attore; coniugando i
due volti di Eastwood viene fuori questo film, che è essenzialmente
Eastwood prima ancora di essere Gran Torino. La storia in sè non ha niente
di davvero eccezionale, è solo la maestria di Eastwood a farne un film
bellissimo. Ciò che rende un film già di per sè molto buono un gran film è
poi il finale, non proprio dei più prevedibili, almeno a grandi linee.
Piuttosto che ripeter la coglionata fatta da Paolo Meneghetti del Corriere
della Sera, che spoilera praticamente l'intero film nella prima frase del
suo articolo (http://tinyurl.com/dkhphe spoiler ovviamente), evito di
aggiungere altro, non potendo quindi parlare più diffusamente del perché il
film in quanto racconto di una storia sia davvero riuscito. La vicenda
iniziale si riassume brevemente: Eastwood è l'unico americano rimasto in un
quartiere popolato da soli immigrati asiatici. Se ciò non bastasse, è un
reduce della guerra di Corea, e vive per la sua Ford Gran Torino, che
qualcuno proverà a rubargli. Da questo fatto prende il la il resto della
vicenda. Tornando brevemente a Clint attore/regista, c'è da notare che pur
interpretando un reduce di guerra razzista (ma buono e profondamente
segnato dalla guerra) e ostile verso il prossimo, riversa nel film una tale
quantità di perle (nei dialoghi), da perdere il conto. Questo film è uno
spaghetti western (degno di Sergio Leone) ambientato nei giorni nostri, con
un finale più profondo. Sebbene ci sia da sperare che non accada, potrebbe
essere l'ultimo film da attore di Clint, e pur essendo una mezza tragedia,
penso sia il modo migliore per abbandonare le scene. Ridicola l'esclusione
del film dai candidati agli Oscar (inutile paragonare Eastwood al pur
bravissimo Sean Penn). Nel concludere una nota e un consiglio:
Eastwood è l'unica persona al mondo che preserva la sua dignità pur
indossando una camicia a maniche corte.
Guardate il film in lingua originale (con sottotitoli, magari). Il
confronto non è impietoso, Eastwood è ben doppiato, ma semplicemente non
esiste doppiatore, per quanto bravo sia, in grado di poter rendere
l'inscindibile rapporto tra il volto e la voce del grande Clint.
sale, ma mi piace fare uno strappo alla regola per questo bellissimo film.
Si tratta di un film lineare, semplice ed essenziale. Non nasce con
l'intenzione di volerne fare un capolavoro, né di voler strafare in
qualsiasi aspetto. L'intenzione è quella di voler raccontare una storia
semplice, dei nostri tempi, ma radicata nel passato. Si racconta di
stereotipi, di razzismo, di violenza, ma anche di valori. E ognuno di
questi seri argomenti viene sviscerato con una vena ironica di sottofondo
davvero notevole. Se il film è bellissimo e completamente riuscito, lo si
deve unicamente a Clint Eastwood. Dopo aver già dimostrato ampiamente nei
suoi precedenti film di essere un gran regista, qui ci ricorda ancora una
volta, se ce ne fosse bisogno, che è un grandissimo attore; coniugando i
due volti di Eastwood viene fuori questo film, che è essenzialmente
Eastwood prima ancora di essere Gran Torino. La storia in sè non ha niente
di davvero eccezionale, è solo la maestria di Eastwood a farne un film
bellissimo. Ciò che rende un film già di per sè molto buono un gran film è
poi il finale, non proprio dei più prevedibili, almeno a grandi linee.
Piuttosto che ripeter la coglionata fatta da Paolo Meneghetti del Corriere
della Sera, che spoilera praticamente l'intero film nella prima frase del
suo articolo (http://tinyurl.com/dkhphe spoiler ovviamente), evito di
aggiungere altro, non potendo quindi parlare più diffusamente del perché il
film in quanto racconto di una storia sia davvero riuscito. La vicenda
iniziale si riassume brevemente: Eastwood è l'unico americano rimasto in un
quartiere popolato da soli immigrati asiatici. Se ciò non bastasse, è un
reduce della guerra di Corea, e vive per la sua Ford Gran Torino, che
qualcuno proverà a rubargli. Da questo fatto prende il la il resto della
vicenda. Tornando brevemente a Clint attore/regista, c'è da notare che pur
interpretando un reduce di guerra razzista (ma buono e profondamente
segnato dalla guerra) e ostile verso il prossimo, riversa nel film una tale
quantità di perle (nei dialoghi), da perdere il conto. Questo film è uno
spaghetti western (degno di Sergio Leone) ambientato nei giorni nostri, con
un finale più profondo. Sebbene ci sia da sperare che non accada, potrebbe
essere l'ultimo film da attore di Clint, e pur essendo una mezza tragedia,
penso sia il modo migliore per abbandonare le scene. Ridicola l'esclusione
del film dai candidati agli Oscar (inutile paragonare Eastwood al pur
bravissimo Sean Penn). Nel concludere una nota e un consiglio:
Eastwood è l'unica persona al mondo che preserva la sua dignità pur
indossando una camicia a maniche corte.
Guardate il film in lingua originale (con sottotitoli, magari). Il
confronto non è impietoso, Eastwood è ben doppiato, ma semplicemente non
esiste doppiatore, per quanto bravo sia, in grado di poter rendere
l'inscindibile rapporto tra il volto e la voce del grande Clint.
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L'Esattore
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