Vaz Rodrigo
2009-06-16 17:13:03 UTC
E' uscito un nuovo cofanetto da 21 cd, con dentro le registrazioni
delle opere verdiane che la DG mise in cantiere alla Scala dai primi
anni '60 in avanti.
http://www.mdt.co.uk/MDTSite/product/Choice_Recently_Released/4778121.htm
Attualmente si trova in negozi tipo Fnac o Ricordi a 36 euro.
Onestamente, a un prezzo così basso non posso non consigliarlo. Magari
tutto non è allo stesso livello (l'Aida di Abbado è orrenda, anche se
non per colpa di Abbado, o quantomeno non del tutto), ma chi è del
tutto sguarnito di dischi verdiani non dovrebbe prenderla sottogamba,
anche perché ci sono alcune edizioni capolavoro.
Prima fra tutte, il rigoletto di Kubelik, che appunto apre la raccolta
coi primi due dischi. Scusate, sarò il centesimo a scrivere una
recensione su questa edizione, ma mi avete detto che avete piacere a
leggermi, quindi comincio.
Tra i direttori che hanno registrato Rigoletto, Rafael Kubelik è forse
il più estroso, il più originale, il più vivace escogitatore di
invenzioni sonore. La festa nel palazzo ducale è la più bella in
assoluto, mai chiassosa ma nemmeno evanescente, leggerissima,
sommamente evocativa di un clima sensuale e cortigiano. La scena di
Sparafucile è misteriosa, vellutata, "romantica". I momenti di
drammaticità, come il "Cortigiani", hanno una compattezza
toscaniniana. L'accompagnamento del canto è esemplare, curatissimo,
certo non inferiore a vecchie volpi tipo Serafin (competentissimo, ma
il cui Rigoletto non regge il confronto neanche da lontano, sembra di
udire due orchestre diverse), con in più la spezia di alcuni "rubati"
gradevolissimi.
E fortuna che il cast vocale non ha affossato una direzione così
bella. Dietrich Fischer Dieskau è stato un grande baritono. Cornell
MacNeil, che per me è il Rigoletto migliore del Dopoguerra, gli è
superiore vocalmente, e in certi punti anche espressivamente: ma
sarebbe uno sbaglio denigrare la prova maiuscola che Fischer Dieskau
offre affrontando uno dei più grandi personaggi del teatro non solo
musicale. Tanto per cominciare, è uno dei non molti cantanti tedeschi
che è riuscito a essere morbido nell'emissione anche cantando in
italiano, senza sbracare o indurire le note. Inoltre, la sua dizione è
pressoché perfetta. Terzo atout: un'intelligenza vivissima. Con queste
qualità, Fischer Dieskau ha costruito un autentico, commovente
Rigoletto. Certi fraseggi paterni al cospetto della figlia sono quanto
di più poetico si sia sentito in quest'opera. Quando RIgoletto fa il
buffone, Fischer Dieskau poi gli dona una mordacità sulfurea
decisamente azzeccata. I momenti drammatici vedono anch'essi un
notevole impegno nel chiaroscurare il fraseggio; nel Cortigiani e nel
"Solo per me l'infamia", oltre che in altri momenti di stile
"grandioso", forse la voce manca di ampiezza e di risonanza, ma in
ogni caso il canto è anni luce superiore a quello di Tito Gobbi. Nella
"Vendetta" il sovracuto finale è sbiancato e duro, ma le terzine sono
nitide, incisive, perfette. In breve: un protagonista di altissimo
livello.
Pure di alto livello è la Gilda di Renata Scotto, allora in piena
forma vocale e non inferiore alla Sutherland in uno dei suoi
personaggi favoriti. Qualche acuto un poco acidulo (a voce piena:
quelli flautati sono magnifici) poco toglie a una raffigurazione
moderna e immedesimata, cantata magnificamente con un fior di voce.
Stesso discorso per Carlo Bergonzi, la cui dizione emiliana, a volte
altrove fuori posto, sta qui benissimo a un personaggio come il Duca
di Mantova, farfallone padano in cerca di gonnelle. Pavarotti forse è
più sensuale e seduttivo nel colloquio con la Contessa, ma Bergonzi fa
ovunque valere la sua classe nel plasmare uno sciupafemmine svagato,
capace però d'abbandonarsi a momenti trepidanti come la famosa "Parmi
veder le lagrime", eseguita con estrema facilità. Questo d'altronde
vale per tutto: la morbidezza vocale governa l'intera esecuzione, a
parte gli acuti che, come sempre e per motivi che non sono mai
riuscito a spiegarmi, diventano un poco tenui e ovattati. Bergonzi,
checché ne dica Elvio Giudici, a "D'invidia agli uomini"fa molta
fatica, e alla fine della stretta tenta un sovracuto molto
malriuscito. A parte questo, abbiamo un saggio quasi manualistico di
come dev'essere, vocalmente e interpretativamente, il tenore verdiano.
Fiorenza Cossotto, all'epoca ancora sottovalutata, è una Maddalena di
grande bravura sotto tutti gli aspetti. Ivo Vinco sfoggia una
bellissima voce di basso, priva di forzatura, sostenuta da
un'emissione scorrevole e guidata da un gusto interpretativo più che
rimarchevole nella sua assenza di cattiveria o platealità.
Personaggi minori abili, coro ottimo.
ASpettatevi anche le descrizioni delle altre opere.
delle opere verdiane che la DG mise in cantiere alla Scala dai primi
anni '60 in avanti.
http://www.mdt.co.uk/MDTSite/product/Choice_Recently_Released/4778121.htm
Attualmente si trova in negozi tipo Fnac o Ricordi a 36 euro.
Onestamente, a un prezzo così basso non posso non consigliarlo. Magari
tutto non è allo stesso livello (l'Aida di Abbado è orrenda, anche se
non per colpa di Abbado, o quantomeno non del tutto), ma chi è del
tutto sguarnito di dischi verdiani non dovrebbe prenderla sottogamba,
anche perché ci sono alcune edizioni capolavoro.
Prima fra tutte, il rigoletto di Kubelik, che appunto apre la raccolta
coi primi due dischi. Scusate, sarò il centesimo a scrivere una
recensione su questa edizione, ma mi avete detto che avete piacere a
leggermi, quindi comincio.
Tra i direttori che hanno registrato Rigoletto, Rafael Kubelik è forse
il più estroso, il più originale, il più vivace escogitatore di
invenzioni sonore. La festa nel palazzo ducale è la più bella in
assoluto, mai chiassosa ma nemmeno evanescente, leggerissima,
sommamente evocativa di un clima sensuale e cortigiano. La scena di
Sparafucile è misteriosa, vellutata, "romantica". I momenti di
drammaticità, come il "Cortigiani", hanno una compattezza
toscaniniana. L'accompagnamento del canto è esemplare, curatissimo,
certo non inferiore a vecchie volpi tipo Serafin (competentissimo, ma
il cui Rigoletto non regge il confronto neanche da lontano, sembra di
udire due orchestre diverse), con in più la spezia di alcuni "rubati"
gradevolissimi.
E fortuna che il cast vocale non ha affossato una direzione così
bella. Dietrich Fischer Dieskau è stato un grande baritono. Cornell
MacNeil, che per me è il Rigoletto migliore del Dopoguerra, gli è
superiore vocalmente, e in certi punti anche espressivamente: ma
sarebbe uno sbaglio denigrare la prova maiuscola che Fischer Dieskau
offre affrontando uno dei più grandi personaggi del teatro non solo
musicale. Tanto per cominciare, è uno dei non molti cantanti tedeschi
che è riuscito a essere morbido nell'emissione anche cantando in
italiano, senza sbracare o indurire le note. Inoltre, la sua dizione è
pressoché perfetta. Terzo atout: un'intelligenza vivissima. Con queste
qualità, Fischer Dieskau ha costruito un autentico, commovente
Rigoletto. Certi fraseggi paterni al cospetto della figlia sono quanto
di più poetico si sia sentito in quest'opera. Quando RIgoletto fa il
buffone, Fischer Dieskau poi gli dona una mordacità sulfurea
decisamente azzeccata. I momenti drammatici vedono anch'essi un
notevole impegno nel chiaroscurare il fraseggio; nel Cortigiani e nel
"Solo per me l'infamia", oltre che in altri momenti di stile
"grandioso", forse la voce manca di ampiezza e di risonanza, ma in
ogni caso il canto è anni luce superiore a quello di Tito Gobbi. Nella
"Vendetta" il sovracuto finale è sbiancato e duro, ma le terzine sono
nitide, incisive, perfette. In breve: un protagonista di altissimo
livello.
Pure di alto livello è la Gilda di Renata Scotto, allora in piena
forma vocale e non inferiore alla Sutherland in uno dei suoi
personaggi favoriti. Qualche acuto un poco acidulo (a voce piena:
quelli flautati sono magnifici) poco toglie a una raffigurazione
moderna e immedesimata, cantata magnificamente con un fior di voce.
Stesso discorso per Carlo Bergonzi, la cui dizione emiliana, a volte
altrove fuori posto, sta qui benissimo a un personaggio come il Duca
di Mantova, farfallone padano in cerca di gonnelle. Pavarotti forse è
più sensuale e seduttivo nel colloquio con la Contessa, ma Bergonzi fa
ovunque valere la sua classe nel plasmare uno sciupafemmine svagato,
capace però d'abbandonarsi a momenti trepidanti come la famosa "Parmi
veder le lagrime", eseguita con estrema facilità. Questo d'altronde
vale per tutto: la morbidezza vocale governa l'intera esecuzione, a
parte gli acuti che, come sempre e per motivi che non sono mai
riuscito a spiegarmi, diventano un poco tenui e ovattati. Bergonzi,
checché ne dica Elvio Giudici, a "D'invidia agli uomini"fa molta
fatica, e alla fine della stretta tenta un sovracuto molto
malriuscito. A parte questo, abbiamo un saggio quasi manualistico di
come dev'essere, vocalmente e interpretativamente, il tenore verdiano.
Fiorenza Cossotto, all'epoca ancora sottovalutata, è una Maddalena di
grande bravura sotto tutti gli aspetti. Ivo Vinco sfoggia una
bellissima voce di basso, priva di forzatura, sostenuta da
un'emissione scorrevole e guidata da un gusto interpretativo più che
rimarchevole nella sua assenza di cattiveria o platealità.
Personaggi minori abili, coro ottimo.
ASpettatevi anche le descrizioni delle altre opere.