ah
Mi rendo conto di essere stato un po' troppo sintetico. Possono persino
risultare complementari: Rubinstein accetta e valorizza aspetti di Chopin
che in Francois passano in secondo piano, imho. Le interpretazioni di
Rubinstein mi sono sempre sembrate un'ottima introduzione alla conoscenza di
Chopin, e anche qualcosa in più. Non gode di ottima fama presso la critica
(almeno parte, della critica), e la cosa mi pare francamente immeritata: è
un lettore attento e partecipe, rispetta il testo molto di più di tanti
altri pianisti, anche più giovani di lui, non è affatto monocorde o
unilaterale o schematico nell'interpretazione; il suono è sempre controllato
e "bello", nelle prove più recenti (anni sessanta, per esempio) è anche
vario e sfaccettato, il fraseggio composto ed elegante. Il coinvolgimento
sentimentale è sempre presente anche se mai all'insegna dell'eccesso.
Francois invece fa parte di quella schiera di pianisti non numerosa che
introducono nell'arte di Chopin un elemento interpretativo più estremo, un
po' di Romanticismo "nero", non solo pessimistico, inequivocabilmente legato
alla cultura francese. Qualcosa di simile accade con certo Horowitz e in
fondo anche con Rachmaninoff (intendo l'interprete) che di questa tendenza è
il capostipite accertato, fermo restando che sono tre artisti diversissimi;
l'elemento che li accomuna è il rifiuto di una visione sostanzialmente
"apollinea" (vado per generalizzazioni forti, anzi fortissime) dell'arte
chopiniana. C'è molto di dionisiaco invece nell'altra schiera di interpreti,
di torbido, di fisico e gestuale. Con questo non voglio dare l'idea che li
consideri poco controllati; Francois è controllatissimo, con le dita e con
l'intelletto. Tanto meno è artista che faccia affidamento sulle seduzioni
del parlare con il cuore in mano, dell'immediatezza espressiva; anzi, di
questo atteggiamento è l'antitesi più netta e implacabile; semmai è
Rubinstein a dare a volte, brevissimamente, quest'impressione di
espressività "facile" e spensierata, profondamente umana nel suo caso.
Semplicemente, Francois mi pare rifiutare l'idea di bellezza oggettiva, di
archetipo immutabile che in fondo sento sempre presente in Rubinstein; la
sua idea di bellezza è tensione continua. Le interpretazioni di Francois mi
danno l'impressione di essere calate nel contesto esistenziale, separare
l'arte dalla vita è con lui sommamente artificioso, e le possibilità
evocative della musica (evocazione di immagini, innanzi tutto) non sono solo
accettate, ma potenziate all'estremo; certe sue interpretazioni sembrano un
susseguirsi di illuminazioni allucinatorie, di atti di coscienza
involontari; mi fanno pensare a Rimbaud se non ai surrealisti, e se il senso
della forma quasi vacilla e ne esce trasformato, radicalmente trasformato,
beh, tanto meglio.
Con questo volevo solo esprimere le mie impressioni che non vogliono avere
valore generale. Bisognerebbe prendere un gruppo di composizioni e
confrontare con la pagina sotto gli occhi. A me è già capitato di farlo,
anche se non recentemente (è facilissimo, si possono scaricare gratuitamente
gli spartiti e su Youtube trovi tanto, almeno di Rubinstein) e il confronto
è illluminante non solo in pagine in cui già Chopin carica le tinte ma anche
in composizioni che al primo sguardo risultano tutto sommato innocenti, come
il famosissimo Notturno in mi bemolle. In Francois si intravede spesso anche
una forma tipicamente romantica di ironia, che Rubinstein tiene sempre sotto
controllo e non accentua. O declina in senso non amaro e meno radicalmente
pessimistico, anche meno visionario.
C'è poi da dire qualcosa sul repertorio e sulla formazione. In merito a
questa è lapallissiana la differenza, visto le differenze di epoca e di età.
Rubinstein viene introdotto nella cerchia di Joachim, successivamente
frequenta Paderewski di cui peraltro vede benissimo i limiti tecnici. E'
riconducibile alla generazione degli anni ottanta dell'Ottocento, di cui si
sente parte pur maturando più lentamente, anche se non può soffrire Arthur
Schnabel che gli sembra aridamente intellettualistico. Il repertorio di
Rubinstein è centrato su Chopin; accanto a Chopin si dedica, non molto, a
Liszt, prima di Chopin lo interessano Beethoven (di cui non è interprete
originalissimo; in ogni caso vi si impegnò maggiormente in gioventù) e
Mozart (sei concerti, il Rondò in la minore; non molto, ma molto buono a mio
parere; va aggiunta una notevole lettura delle Variazioni in fa minore di
Haydn), dopo Chopin si dedica a Brahms, a Debussy, ad alcuni autori
novecenteschi, di area francese o spagnola. Di Debussy avrebbe potuto essere
un grande interprete ma purtroppo non vi si impegnò molto (se ricordo bene
le sue incisioni di questo autore stanno comodamente in un disco), si
ricordano anche alcune pagine brevi di Prokofiev. Conosce bene gli
interpreti riconducibili alle culture slave e centroeuropee, da cui assimila
sempre qualcosa, anche quando personalmente non li poteva soffrire. Suona,
in gioventù, molta musica del Novecento che poi lascia da parte, sovente
senza neppure averla incisa.
Francois (che ha parecchi anni di meno) fu allievo prima di Cortot e poi
della Long, con cui peraltro non ebbe un rapporto facile. Fu molto
influenzato da Cortot, si dedicò soprattutto a Chopin, a Debussy e a Ravel,
con puntate per lo più occasionali su altri autori. Degli ultimi due si può
tranquillamente considerare un grande interprete, come di Chopin.
Dal punto di vista umano non avrebbe potuto essere più diverso da
Rubinstein; questo era dotato di una vitalità straripante, Francois
purtroppo morì giovane, pare facesse uso di stupefacenti.
Dal confronto delle carriere mi sembra emerga un dato, a tutta prima:
Francois è un interprete più settoriale e più connotato ideologicamente, per
così dire, non solo per motivi anagrafici. Francois che suona i concerti di
Mozart proprio non me lo vedo, e non mi risulta. Rubinstein aspira ad un
altro tipo di carriera, ha una diversa capacità di comunicare con il
pubblico. Io poi vedo un fatto macroscopico, e forse mi sbaglierò ma lo
voglio dire: Rubinstein si forma e resta fedele ad un ambito culturale in
cui l'importanza di Wagner viene ridimensionata. Francois invece è
influenzato da musicisti, Cortot in testa, che con Wagner si cimentarono
fino in fondo, che in Wagner vedono, se non un profeta, l'uomo con cui
confrontarsi a qualsiasi costo, il grande testimone della Storia, insomma lo
spartiacque. Credo che anche questi fattori abbiano la loro importanza. Con
questo non voglio dire che Rubinstein non lo conoscesse, assolutamente,
credo anzi che lo abbia suonato parecchio in riunioni private (le abitudini
di cui parla Proust restarono vive molto a lungo). Ma l'esperienza non
lasciò in lui i frutti che maturarono altrove, almeno non mi pare. E la
frequentazione o meno dell'opera lirica, di un repertorio destinato alla
valorizzazione del canto ha la sua influenza sul modo in cui si "canta" con
il pianoforte. Horowitz ammise tranquillamente che la sua arte di interprete
era nata ascoltando dischi di cantanti, e peralto è documentata anche la sua
passione wagneriana (pare che indicando un punto qualsiasi del Ring, Volodia
fosse in grado di sedere al pianoforte e continuare a piacere). Con questo
non voglio insinuare che il fraseggio chopiniano di Francois sia influenzato
dal declamato wagneriano, ma che Francois parta da una cultura, musicale e
non solo, in cui Wagner e Liszt hanno ben altro peso, con tutto ciò che
questo può comportare nel modo di pensare tutta la creatività musicale.
scusa la lungaggine (avevo una mezz'oretta e voglia di scrivere) e ciao :-)
dR