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2019-09-08 22:22:15 UTC
Rispondo infine a Roberto, che mi chiedeva un parere sulla scrittura della "fuga" di "Touch me" (The Enid) .
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Ecco, se io dovessi dirti cos'è la negazione di una fuga, in termini di composizione, citerei proprio l'esempio che hai linkato.
Ma per farti capire il mio pensiero, partiamo da qualche concetto di base. Una fuga (parlo delle fughe di vecchia guardia, quelle in cui si cimentava J. S. Bach per intenderci, perché con le fughe in stile concertante il discorso si complica enormemente) è degna di tal nome quando rispetta un principio basilare: quello cioè di un CANONE semplice o doppio (se vi è il controsoggetto) che, in principio sciolto (o parzialmente legato) nell'esposizione, muta in una miriade di canoni "legati" via via più stretti. L'effetto di questa progressione di distanze tra le teste del soggetto e della risposta è proprio quello di una sorta di inseguimento, da cui il nome "fuga", che termina con il fuggitivo infine "agguantato". Tutto ciò è molto, molto, molto complicato da realizzare nel contrappunto e richiede una lunghissima esperienza nella scrittura di canoni. A questo punto non posso far altro che citare Alessandro Scarlatti per far capire uditivamente a cosa equivalga questo principio. Ascolta queste due fughe:
Come puoi sentire, il soggetto si frantuma in una miriade di ripercussioni tutte in canone. Ad un certo punto i canoni sono così stretti che senti la testa del soggetto (id est: le primissime note) o dei suoi frammenti rimbalzare da una voce all'altra in battute consecutive (o addirittura nella stessa battuta). In quest'altro esempio, sempre di Scarlatti, puoi leggere la musica. Si tratta di una simulazione midi ma è utile per capire. Nota anche qui la miriade di volte, entro due soli minuti e poco più, in cui avviene la ripercussione del soggetto e nota come le teste via via si avvicinino in questo continuo inseguirsi.
In quest'altro esempio i canoni iniziano sin dall'esposizione, e anche qui senti questa sorta di ping-pong di teste che passano senza sosta da una voce all'altra. Capirai tu stesso che lavoraccio e che esperienza servano per scrivere una roba così minuziosa e certosina.
Ecco in quattro parole cosa è una fuga. Vediamo ora cosa NON è una fuga. Una fuga non è tale quando ovviamente non esiste alcun canone. Cioè quando viene negato il principio che ti ho appena descritto. In rete, in questi ultimi anni, sono apparsi tanti obbrobri di "fughe moderne" scritte proprio sulla base della negazione di questo principio. L'ideale per l'easy listening di lz. In soldoni, la scrittura di queste fughe avviene così: scrivo una melodia che chiamo soggetto. Poi la ripeto trasposta di una quinta unita a note libere in contrappunto o a un controsoggetto per fare la risposta. Poi la ripeto sul tono d'impianto con una terza parte in contrappunto e vado avanti così finché non completo l'esposizione. Dopodiché frammento il soggetto e faccio i divertimenti sugli incisi ottenuti. Ecco, non ci vuole molto a capire che questa roba qui è un esercizio talmente scemo - essendo tutti i canoni sciolti, dunque non essendoci vincoli - che lo potrebbe fare anche un bambino. Basta solo evitare le quinte e le ottave parallele, e pochissimo altro, cosa che oggi si può peraltro ottenere con un software automaticamente. Il pietoso effetto che si ottiene da questa roba è quello di un tema che viene ripetuto trasposto nell'arco della composizione. Tutto ciò è, ripeto, la negazione di una fuga. Fuga da cosa, se il soggetto non fa altro che ripetersi trasposto? La fuga si scrive concatenando CANONI, non soggetti e risposte!!
Nel caso del tuo esempio rock, la balordaggine di questo procedimento è aggravata dal fatto che le note in contrappunto fanno un tale pasticcio di echi e suoni confusi che neanche si riesce a capire quali siano le figure che accompagnano le riproposizioni del soggetto. E neanche si riesce a capire se queste note siano in armonia col soggetto. Insomma, il peggio del peggio.
Ora, per concludere il discorso, non mi importa nulla di attirare sdegni di bachiani incalliti, ma io suggerirei di ascoltare anche la celebre "piccola fuga" di JSB:
Come si può vedere, anche qui vale il principio balordo di canone sciolto dal principio alla fine. Cioè la negazione della fuga. Non essendoci canoni legati, JSB (qui palesemente alle prime armi con la composizione di una fuga, ma questa è roba che gli fa in ogni caso disonore) non ha di conseguenza alcun vincolo e può mettere tutti i motivi, le progressioni e le armonie che gli pare per rendere accattivante la musica. E ovviamente l'ascoltatore mal addestrato nel contrappunto non si accorgerà di quanto ciò che suona accattivante sia in realtà rozzo, banale e ignorante. E dirà che la fuga di JSB è bella...
NO: l'effetto del ripetersi di un soggetto non è bello: è un effetto sciocco. È invece bello e ingegnoso l'effetto per cui si avverte un soggetto inseguire serratamente sé stesso, come appunto in una... fuga! Alessandro Scarlatti docet.
Mi fermo qui perché di carne a cuocere ne ho messa tanta, anche troppa. Spero sia tutto chiaro; in caso contrario sono pronto a chiarire nel dettaglio.
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Ecco, se io dovessi dirti cos'è la negazione di una fuga, in termini di composizione, citerei proprio l'esempio che hai linkato.
Ma per farti capire il mio pensiero, partiamo da qualche concetto di base. Una fuga (parlo delle fughe di vecchia guardia, quelle in cui si cimentava J. S. Bach per intenderci, perché con le fughe in stile concertante il discorso si complica enormemente) è degna di tal nome quando rispetta un principio basilare: quello cioè di un CANONE semplice o doppio (se vi è il controsoggetto) che, in principio sciolto (o parzialmente legato) nell'esposizione, muta in una miriade di canoni "legati" via via più stretti. L'effetto di questa progressione di distanze tra le teste del soggetto e della risposta è proprio quello di una sorta di inseguimento, da cui il nome "fuga", che termina con il fuggitivo infine "agguantato". Tutto ciò è molto, molto, molto complicato da realizzare nel contrappunto e richiede una lunghissima esperienza nella scrittura di canoni. A questo punto non posso far altro che citare Alessandro Scarlatti per far capire uditivamente a cosa equivalga questo principio. Ascolta queste due fughe:
Come puoi sentire, il soggetto si frantuma in una miriade di ripercussioni tutte in canone. Ad un certo punto i canoni sono così stretti che senti la testa del soggetto (id est: le primissime note) o dei suoi frammenti rimbalzare da una voce all'altra in battute consecutive (o addirittura nella stessa battuta). In quest'altro esempio, sempre di Scarlatti, puoi leggere la musica. Si tratta di una simulazione midi ma è utile per capire. Nota anche qui la miriade di volte, entro due soli minuti e poco più, in cui avviene la ripercussione del soggetto e nota come le teste via via si avvicinino in questo continuo inseguirsi.
In quest'altro esempio i canoni iniziano sin dall'esposizione, e anche qui senti questa sorta di ping-pong di teste che passano senza sosta da una voce all'altra. Capirai tu stesso che lavoraccio e che esperienza servano per scrivere una roba così minuziosa e certosina.
Ecco in quattro parole cosa è una fuga. Vediamo ora cosa NON è una fuga. Una fuga non è tale quando ovviamente non esiste alcun canone. Cioè quando viene negato il principio che ti ho appena descritto. In rete, in questi ultimi anni, sono apparsi tanti obbrobri di "fughe moderne" scritte proprio sulla base della negazione di questo principio. L'ideale per l'easy listening di lz. In soldoni, la scrittura di queste fughe avviene così: scrivo una melodia che chiamo soggetto. Poi la ripeto trasposta di una quinta unita a note libere in contrappunto o a un controsoggetto per fare la risposta. Poi la ripeto sul tono d'impianto con una terza parte in contrappunto e vado avanti così finché non completo l'esposizione. Dopodiché frammento il soggetto e faccio i divertimenti sugli incisi ottenuti. Ecco, non ci vuole molto a capire che questa roba qui è un esercizio talmente scemo - essendo tutti i canoni sciolti, dunque non essendoci vincoli - che lo potrebbe fare anche un bambino. Basta solo evitare le quinte e le ottave parallele, e pochissimo altro, cosa che oggi si può peraltro ottenere con un software automaticamente. Il pietoso effetto che si ottiene da questa roba è quello di un tema che viene ripetuto trasposto nell'arco della composizione. Tutto ciò è, ripeto, la negazione di una fuga. Fuga da cosa, se il soggetto non fa altro che ripetersi trasposto? La fuga si scrive concatenando CANONI, non soggetti e risposte!!
Nel caso del tuo esempio rock, la balordaggine di questo procedimento è aggravata dal fatto che le note in contrappunto fanno un tale pasticcio di echi e suoni confusi che neanche si riesce a capire quali siano le figure che accompagnano le riproposizioni del soggetto. E neanche si riesce a capire se queste note siano in armonia col soggetto. Insomma, il peggio del peggio.
Ora, per concludere il discorso, non mi importa nulla di attirare sdegni di bachiani incalliti, ma io suggerirei di ascoltare anche la celebre "piccola fuga" di JSB:
Come si può vedere, anche qui vale il principio balordo di canone sciolto dal principio alla fine. Cioè la negazione della fuga. Non essendoci canoni legati, JSB (qui palesemente alle prime armi con la composizione di una fuga, ma questa è roba che gli fa in ogni caso disonore) non ha di conseguenza alcun vincolo e può mettere tutti i motivi, le progressioni e le armonie che gli pare per rendere accattivante la musica. E ovviamente l'ascoltatore mal addestrato nel contrappunto non si accorgerà di quanto ciò che suona accattivante sia in realtà rozzo, banale e ignorante. E dirà che la fuga di JSB è bella...
NO: l'effetto del ripetersi di un soggetto non è bello: è un effetto sciocco. È invece bello e ingegnoso l'effetto per cui si avverte un soggetto inseguire serratamente sé stesso, come appunto in una... fuga! Alessandro Scarlatti docet.
Mi fermo qui perché di carne a cuocere ne ho messa tanta, anche troppa. Spero sia tutto chiaro; in caso contrario sono pronto a chiarire nel dettaglio.