mcapu
2005-10-12 07:07:28 UTC
Ciao ragazzi, invio un'intervista a Pollini, apparsa su La Repubblica
dell' 11-10-2005. Buona lettura.
Mcapu
Intervista a Pollini da La Repubblica dell' 11.10.2005
Se è vero, come disse il filosofo greco Epitteto, che soltanto l'uomo
colto è libero, l'Italia potrebbe perdersi nella schiavitù totale. Non è
un modo di dire: il taglio del governo ai fondi per la cultura,
annunciato pochi giorni fa, rischia di affondare, oltre al cinema, le
istituzioni teatrali e musicali italiane. S'indignaMaurizio Pollini: «È
solo l'ennesimo attacco alla cultura da parte di un governo negativo
daognipunto divista: nei confronti dell'ambiente, del
ri-spettodellacostituzione,dellalot-ta alla mafia. Negativo per
l'economia e per tutto ciò che comporT ta la regionalizzazione.
Portatore d'indebolimento nella scuola pubblica. Quanto alle sovvenzioni
alla cultura, che è un patrimonio di tutti, e come tale va considerata,
sono un compito dello Stato. Se questo governo fosse riconfermato dalle
elezioni, gli attuali governanti diventerebbero inamovibili. E in Italia
s'instaurerebbe una dittatura inconsueta e rovinosa». Non è la prima
volta che Pollini si sbilancia sul versante politico. Come ogni amante
della musica sa bene, questo pianista sobrio e affascinante, che sono in
molti a considerare il massimo vivente, non disgiunge mai la sua
sapienza musicale da una visione del mondo radicataneivalori
democratici. Innovatore sensibile agli sguardi verso il futuro stimolati
dalla musica moderna e contemporanea, Pollini rappresenta al tempo
stesso un modo sempre personale d'interrogare i classici e un senso
della costruzione offerto in letture strutturalmente trasparenti. È
anche un uomo riservato e pudico, sprezzante verso ogni forma di divismo
e sordo alle lusinghe del mercato.
Oggi Pollini è a Roma: stasera e domani, per la manifestazione che Santa
Cecilia all'Auditorium dedica a Claudio Abbado e alla Lucerne Festival
Orchestra, eseguirà il concerto di Schumann, «un brano
interessantissimo», ci spiega, «composto dall'autore in un tempo molto
lungo. Il secondo e il terzo movimento furono scritti nel '45, mentre il
primo apparve nel '41. Ma su questo concerto si hanno notizie che
risalgono addirittura al '33. Il secondo e il terzo tempo sono di
carattere sereno, mentre il primo è pieno di contrasti. L'unità è data
soprattutto dal fatto che il lavoro si svolge variando in modi infiniti
il tema principale, che acquista ogni volta caratteri nuovi. Per quanto
compatta, l'opera è in realtà il frutto di momenti diversi della vita di
Schumann, e studiandola si avverte questa tensione interna. Il concerto
odierno non è la sola occasione dell'intervista. A fine mese per Pollini
si realizza un progetto importante ed emblematico della sua fisionomia
d'interprete: esce con la Deutsche Grammophon la sua incisione
dell'intero ciclo dei Notturni chopiniani, 19 brani raccolti in due
dischi. Chopin è per Pollini uno degli autori di riferimento fin dagli
inizi della carriera, lanciata nel 1960 dalla sua vittoria, a 18 anni,
del Concorso Chopin di Varsavia: «Da allora, pur avendo esteso molto il
mio repertorio, questo compositore è rimasto una costante», racconta. «E
negli anni mi sono sentito sempre più vicino alla sua opera, cosciente
della fortuna di poter attingere a un patrimonio tanto prezioso. Il
direttore d'orchestra Furtwàngler diceva d'invidiare Chopin ai pianisti».
Pensa che oggi, rispetto agli inizi, sia cambiato il suo approccio a
quest'autore?
«Credo che la mia interpretazione sia più libera nel ritmo. Vi sono
maggiori elementi di rubato. Secondo le testimonianze di Liszt, in
Chopin il rubato esisteva. Ma io sono sempre stato contrario a certe
esagerazioni tardo-ottocentesche, cioè a un modo manieristico di
eseguirlo, con un rubato accentuato, con ogni accordo arpeggiato. Meglio
una certa sobrietà, come ci ha insegnato Rubinstein».
Si possono vedere i Notturni come un riflesso del percorso compositivo
di Chopin?
«Compositivo ed esistenziale.Sono quasi un diario intimo, che attraversa
la sua vita. Il primo che compose è in realtà quello che di solito si
ascolta alla fine, perché fu pubblicato postumo. Non so perché Chopin
non lo pubblicò, visto che è bellissimo. Da questo brano e dai primi
tre, opera 9, si sente già un compositore geniale e completamente
originale. Tuttavia, lungo il percorso dei Notturni, lo si vede
procedere verso una sempre maggiore profondità e maestria».
S'intensifica anche la complessità armonica?
«Certo. Componente fondamentale dei Notturni, l'armonia si fa via via
più densa nelle ultime composizioni. Mille accordi, per esempio, si
succedono nel primo Notturno dell'opera 62. Secondo quanto racconta
George Sand, Chopin lavorava a queste sue creazioni con scrupolo
infinito, sempre insoddisfatto e in cerca della perfezione. C'è un
passaggio del Notturno che ho appena citato che egli volle sottoporre a
innumerevolivarianti. La forma definitiva rappresenta con chiarezza un
progresso rispetto alle precedenti: la stessa linea melodica, quattro
battute, appare leggermente variata a seconda delle edizioni. Chopin
poteva anche solo modificare la disposizione di tre accordi: lavorava
con tenacia su ogni minimo dettaglio».
Si parla spesso dell'ultimo Chopin come pre-impressionistico, quasi
visionario.
«Influenzò soprattutto Debussy e Ravel, sia nell'ideale di una scrittura
capace di trarre dal pianoforte sonorità incantatorie, sia dal punto di
vista armonico».
Nella storia della musica Chopin ebbe padri riconoscibili?
«Non veramente. Fu senza antecedenti, slegato dalla tradizione tedesca.
Era però attaccato a Bach e a Mozart come ideale musicale. In lui c'è il
belcanto, l'influsso dell'opera italiana, e quello del virtuosismo
trascendentale di Paganini. Ma il suo resta un linguaggio assolutamente
personale».
È d'accordo sulla definizione di Chopin come compositore intrinsecamente
pianista, dove la sonorità dello strumento, la ricerca e l'invenzione
timbrica, sono parte integrante del pensiero musicale?
«Certo. La sua scrittura pianistica è la più magica mai realizzata, a
ciò si unisce una sostanza compositiva di profondità formidabile: sotto
la superficie incantatoria c'è un nucleo spesso tragico, che comprende
anche la gioia come momento di contrasto. Pare che Chopin dicesse:
detesto ogni musica che non contenga un pensiero latente».
Non crede, in tal senso, che egli vada più in profondità degli
impressionisti?
«Lei sfiora un pregiudizio diffuso. Sono convinto che Debussy e Ravel
vadano rivisti. L'impressionismo è una visione limitativa di Debussy,
che non a caso non era affatto contento dell 'uso di questo termine
riguardo alla sua musica».
Prima parlava dell'influsso del belcanto nelle composizioni di Chopin.
Da quali aspetti emerge?
«Chopin adorava Bellini e Rossini. E la melodia, sul pianoforte, può
alludere alla voce. A volte possiamo immaginare dei corali. Ha sempre
suggerimenti vocali e quasi mai strumentali. Invece in Beethoven siamo
talvolta autorizzati a immaginare un quartetto d'archi o uno strumento
dell'orchestra».
Santa Cecilia, dal 17 al 21 di questo mese, dedicherà un festival a
Luciano Berio. A tre anni dalla morte, si può già riassumere l'eredità
di questo compositore?
«È uno dei massimi autori della seconda metà del Novecento. Lo ricordo a
Roma, durante il Progetto Pollini, come uomo di grande simpatia e di
generosità straordinaria».
A proposito del Progetto Pollini, da lei concepito e portato con
successo in giro per il mondo: firmerà nuove iniziative come
programmatore di concerti?
«Ho immaginato un ciclo per Vienna a cui collaboreranno il Musikverein,
il Konzerthaus e il Theater an der Wien. Intitolato "Prospettive",
partirà a gennaio e prevede nove appuntamenti lungo il 2006. Saranno
coinvolti i Wiener Philharmoniker, il quintetto di fiati Wien-Berlin, lo
Schoenberg Chor, il Quartetto Berg e il Quartetto Hagen. Io suonerò in
tutti i concerti. Una parte dei programmi, ciascuno dei quali include un
pezzo di Mozart, comprenderà opere dei grandi del Novecento:
Stockhausen, Boulez, Nono e Berio. Per quanto riguarda Nono, di recente
ho indotto un gruppo di interpreti a rimontare un suo pezzo del '66,"A
floresta é jovem e cheja de vida", che fa parte del suo periodo politico
più acceso. È un lavoro dedicato al fronte di liberazione del Vietnam,
con un organico strano: soprano, clarinetto, due attrici, un attore,
lastre di rame percosse e nastro magnetico. Oltre che a Vienna, sarà
eseguito a Bologna e a Tokyo».
dell' 11-10-2005. Buona lettura.
Mcapu
Intervista a Pollini da La Repubblica dell' 11.10.2005
Se è vero, come disse il filosofo greco Epitteto, che soltanto l'uomo
colto è libero, l'Italia potrebbe perdersi nella schiavitù totale. Non è
un modo di dire: il taglio del governo ai fondi per la cultura,
annunciato pochi giorni fa, rischia di affondare, oltre al cinema, le
istituzioni teatrali e musicali italiane. S'indignaMaurizio Pollini: «È
solo l'ennesimo attacco alla cultura da parte di un governo negativo
daognipunto divista: nei confronti dell'ambiente, del
ri-spettodellacostituzione,dellalot-ta alla mafia. Negativo per
l'economia e per tutto ciò che comporT ta la regionalizzazione.
Portatore d'indebolimento nella scuola pubblica. Quanto alle sovvenzioni
alla cultura, che è un patrimonio di tutti, e come tale va considerata,
sono un compito dello Stato. Se questo governo fosse riconfermato dalle
elezioni, gli attuali governanti diventerebbero inamovibili. E in Italia
s'instaurerebbe una dittatura inconsueta e rovinosa». Non è la prima
volta che Pollini si sbilancia sul versante politico. Come ogni amante
della musica sa bene, questo pianista sobrio e affascinante, che sono in
molti a considerare il massimo vivente, non disgiunge mai la sua
sapienza musicale da una visione del mondo radicataneivalori
democratici. Innovatore sensibile agli sguardi verso il futuro stimolati
dalla musica moderna e contemporanea, Pollini rappresenta al tempo
stesso un modo sempre personale d'interrogare i classici e un senso
della costruzione offerto in letture strutturalmente trasparenti. È
anche un uomo riservato e pudico, sprezzante verso ogni forma di divismo
e sordo alle lusinghe del mercato.
Oggi Pollini è a Roma: stasera e domani, per la manifestazione che Santa
Cecilia all'Auditorium dedica a Claudio Abbado e alla Lucerne Festival
Orchestra, eseguirà il concerto di Schumann, «un brano
interessantissimo», ci spiega, «composto dall'autore in un tempo molto
lungo. Il secondo e il terzo movimento furono scritti nel '45, mentre il
primo apparve nel '41. Ma su questo concerto si hanno notizie che
risalgono addirittura al '33. Il secondo e il terzo tempo sono di
carattere sereno, mentre il primo è pieno di contrasti. L'unità è data
soprattutto dal fatto che il lavoro si svolge variando in modi infiniti
il tema principale, che acquista ogni volta caratteri nuovi. Per quanto
compatta, l'opera è in realtà il frutto di momenti diversi della vita di
Schumann, e studiandola si avverte questa tensione interna. Il concerto
odierno non è la sola occasione dell'intervista. A fine mese per Pollini
si realizza un progetto importante ed emblematico della sua fisionomia
d'interprete: esce con la Deutsche Grammophon la sua incisione
dell'intero ciclo dei Notturni chopiniani, 19 brani raccolti in due
dischi. Chopin è per Pollini uno degli autori di riferimento fin dagli
inizi della carriera, lanciata nel 1960 dalla sua vittoria, a 18 anni,
del Concorso Chopin di Varsavia: «Da allora, pur avendo esteso molto il
mio repertorio, questo compositore è rimasto una costante», racconta. «E
negli anni mi sono sentito sempre più vicino alla sua opera, cosciente
della fortuna di poter attingere a un patrimonio tanto prezioso. Il
direttore d'orchestra Furtwàngler diceva d'invidiare Chopin ai pianisti».
Pensa che oggi, rispetto agli inizi, sia cambiato il suo approccio a
quest'autore?
«Credo che la mia interpretazione sia più libera nel ritmo. Vi sono
maggiori elementi di rubato. Secondo le testimonianze di Liszt, in
Chopin il rubato esisteva. Ma io sono sempre stato contrario a certe
esagerazioni tardo-ottocentesche, cioè a un modo manieristico di
eseguirlo, con un rubato accentuato, con ogni accordo arpeggiato. Meglio
una certa sobrietà, come ci ha insegnato Rubinstein».
Si possono vedere i Notturni come un riflesso del percorso compositivo
di Chopin?
«Compositivo ed esistenziale.Sono quasi un diario intimo, che attraversa
la sua vita. Il primo che compose è in realtà quello che di solito si
ascolta alla fine, perché fu pubblicato postumo. Non so perché Chopin
non lo pubblicò, visto che è bellissimo. Da questo brano e dai primi
tre, opera 9, si sente già un compositore geniale e completamente
originale. Tuttavia, lungo il percorso dei Notturni, lo si vede
procedere verso una sempre maggiore profondità e maestria».
S'intensifica anche la complessità armonica?
«Certo. Componente fondamentale dei Notturni, l'armonia si fa via via
più densa nelle ultime composizioni. Mille accordi, per esempio, si
succedono nel primo Notturno dell'opera 62. Secondo quanto racconta
George Sand, Chopin lavorava a queste sue creazioni con scrupolo
infinito, sempre insoddisfatto e in cerca della perfezione. C'è un
passaggio del Notturno che ho appena citato che egli volle sottoporre a
innumerevolivarianti. La forma definitiva rappresenta con chiarezza un
progresso rispetto alle precedenti: la stessa linea melodica, quattro
battute, appare leggermente variata a seconda delle edizioni. Chopin
poteva anche solo modificare la disposizione di tre accordi: lavorava
con tenacia su ogni minimo dettaglio».
Si parla spesso dell'ultimo Chopin come pre-impressionistico, quasi
visionario.
«Influenzò soprattutto Debussy e Ravel, sia nell'ideale di una scrittura
capace di trarre dal pianoforte sonorità incantatorie, sia dal punto di
vista armonico».
Nella storia della musica Chopin ebbe padri riconoscibili?
«Non veramente. Fu senza antecedenti, slegato dalla tradizione tedesca.
Era però attaccato a Bach e a Mozart come ideale musicale. In lui c'è il
belcanto, l'influsso dell'opera italiana, e quello del virtuosismo
trascendentale di Paganini. Ma il suo resta un linguaggio assolutamente
personale».
È d'accordo sulla definizione di Chopin come compositore intrinsecamente
pianista, dove la sonorità dello strumento, la ricerca e l'invenzione
timbrica, sono parte integrante del pensiero musicale?
«Certo. La sua scrittura pianistica è la più magica mai realizzata, a
ciò si unisce una sostanza compositiva di profondità formidabile: sotto
la superficie incantatoria c'è un nucleo spesso tragico, che comprende
anche la gioia come momento di contrasto. Pare che Chopin dicesse:
detesto ogni musica che non contenga un pensiero latente».
Non crede, in tal senso, che egli vada più in profondità degli
impressionisti?
«Lei sfiora un pregiudizio diffuso. Sono convinto che Debussy e Ravel
vadano rivisti. L'impressionismo è una visione limitativa di Debussy,
che non a caso non era affatto contento dell 'uso di questo termine
riguardo alla sua musica».
Prima parlava dell'influsso del belcanto nelle composizioni di Chopin.
Da quali aspetti emerge?
«Chopin adorava Bellini e Rossini. E la melodia, sul pianoforte, può
alludere alla voce. A volte possiamo immaginare dei corali. Ha sempre
suggerimenti vocali e quasi mai strumentali. Invece in Beethoven siamo
talvolta autorizzati a immaginare un quartetto d'archi o uno strumento
dell'orchestra».
Santa Cecilia, dal 17 al 21 di questo mese, dedicherà un festival a
Luciano Berio. A tre anni dalla morte, si può già riassumere l'eredità
di questo compositore?
«È uno dei massimi autori della seconda metà del Novecento. Lo ricordo a
Roma, durante il Progetto Pollini, come uomo di grande simpatia e di
generosità straordinaria».
A proposito del Progetto Pollini, da lei concepito e portato con
successo in giro per il mondo: firmerà nuove iniziative come
programmatore di concerti?
«Ho immaginato un ciclo per Vienna a cui collaboreranno il Musikverein,
il Konzerthaus e il Theater an der Wien. Intitolato "Prospettive",
partirà a gennaio e prevede nove appuntamenti lungo il 2006. Saranno
coinvolti i Wiener Philharmoniker, il quintetto di fiati Wien-Berlin, lo
Schoenberg Chor, il Quartetto Berg e il Quartetto Hagen. Io suonerò in
tutti i concerti. Una parte dei programmi, ciascuno dei quali include un
pezzo di Mozart, comprenderà opere dei grandi del Novecento:
Stockhausen, Boulez, Nono e Berio. Per quanto riguarda Nono, di recente
ho indotto un gruppo di interpreti a rimontare un suo pezzo del '66,"A
floresta é jovem e cheja de vida", che fa parte del suo periodo politico
più acceso. È un lavoro dedicato al fronte di liberazione del Vietnam,
con un organico strano: soprano, clarinetto, due attrici, un attore,
lastre di rame percosse e nastro magnetico. Oltre che a Vienna, sarà
eseguito a Bologna e a Tokyo».